
Gigi Proietti, grande mattatore e showman del cinema, del teatro e della televisione italiana, è morto all’alba di stamane in una clinica romana dove era ricoverato da giorni per accertamenti a seguito di uno scompenso cardiaco che lo aveva colpito la settimana scorsa. Proprio oggi Proietti avrebbe compiuto 80 anni. Era nato infatti il 2 Novembre 1940 nel cuore di Roma, al Tufello, da genitori umbri trasferitisi nella capitale prima della guerra. Roma “una città che gli somiglia come una madre somiglia al proprio figlio” (Beppe Cottafavi, su il Domani). Per lui funerali pubblici e lutto cittadino. Con la sua bravura fuori categoria – nota sempre il Domani – ha scolpito nelle nostre vite i pezzi migliori dell’immaginario comico italiano. Muore un grande simbolo del Novecento nei giorni in cui i teatri sono chiusi per decreto.
Per ricordarlo la redazione di in20righe.it ha scelto di riproporre alcuni brani del servizio che ilfattoquotidiano.it ha dedicato al grande attore romano, a firma Davide Turrini. “A me gli occhi, Gigi. Se ne va uno dei più grandi commedianti italiani. In un grigio autunno zeppo di Covid, Gigi Proietti dal Tufello è morto per le complicazioni dovute ad una crisi cardiaca nel giorno in cui avrebbe compiuto 80 anni. Scamiciato in bianco e sudato, con quegli occhi roteanti e furbeschi, corpo gommoso, rutilante, nodoso, ha fatto divertire l’Italia degli anni settanta/ottanta, consegnandoci personaggi, gag, imitazioni, barzellette memorabili. Già, perché Proietti, di padre e madre umbri giunti a Roma poco prima della guerra, lì Gigi è nato proprio davanti al Colosseo, è stato uno di quei rari attori che ha saputo coniugare il “basso” e l’“alto” della comicità italiana senza mai eccedere da un lato nel volgare, dall’altro nel trombonismo…
Una tecnica grandiosa. Quando guardavi negli occhi, appunto, Gigi, cominciavi a ridere e non ti fermavi più. Giochi di parole e assonanze accompagnate da performance fisiche in continua fibrillazione, consegnano alla storia un artista poliedrico, controfigura e prolungamento di Ettore Petrolini, sosia paradossalmente comico di Carmelo Bene, Proietti aveva rodato lo schema dell’indurre al riso fin dagli albori della sua carriera, peraltro, come sempre, casuale: gli si faceva una richiesta e lui come davvero solo i più incredibili cabarettisti del creato, era in grado, con un paio di sguardi, con un paio di smorfie a riempire i silenzi, di farti sorridere anche se doveva ancora iniziare la gag. Che dire del personaggio di Pietro Ammicca, “affarologo appaltologo” che deve offrire due “affari alternativi”? Proietti innesta la mimica dozzinale su quella astratta per far decodificare allo spettatore la parola che sta per dire. Accoppiamento paradossale, surreale, travolgente. Poi parte la raffica. Accelera, decelera, accelera, decelera. Dio Proietti, che tempi comici. Prendete la gag dello chansonnier francese con cicca, quella intitolata “Nun me rompe er ca”. In fondo il nulla, giusto una frase parolaccia allusa, sussurrata, mai pronunciata per intero. Eppure lui ci costruisce uno sketch per 4, 5 minuti. Solo quella frase dentro alla vertigine della sua mimica. Semplicemente fuori categoria…
Appena saputo della morte di Proietti sui social è subito rimbalzato un hashtag non hashtag: “Come svegliarsi e scoprire che è crollato il Colosseo”. L’ultimo dolente e tenero Mangiafuoco per il Pinocchio di Matteo Garrone, l’attore artista che ha macinato 55 anni di palcoscenico e di scena, sembra aver come lasciato un vuoto improvviso trasversale in tutte le generazioni del paese. Tutti lo ricordano: chi per una barzelletta, chi per una mandrakata, chi per un sorriso, chi per una parola gentile. Proietti lascia la svedese Sagitta Alter, compagna con cui ha vissuto dal 1962 senza mai sposarsi, e le due figlie Carlotta e Susanna. Con la Alter, di professione guida turistica tra i colli romani, si erano conosciuti sul finire degli anni cinquanta, poi amati in un breve tira e molla, ballando un hully gully quando lei non aveva ancora compiuto diciotto anni. Romanista, laicamente di sinistra, odio viscerale per le cravatte, amante del babà al rhum e collezionista di strumenti musicali tra cui un paio di sassofoni d’epoca legati ai giorni in cui – ebbene ha fatto anche quello – suonava in una piccola band nei night romani per sbarcare il lunario tra entraineuse e whisky “maschio senza rischio”, Proietti il “perfezionista e dubbioso”, rispettoso dei colleghi, sempre un passo indietro rispetto al glamour dello showbiz, sempre con quel costume largo bianco in scena come un Cyrano, saluta il pubblico imprudente, che ha cercato di carpirgli il segreto di una comicità felice e gentile, con la barzelletta intramontabile del Diciotto”.