
Per il Quirinale e’ ormai battaglia aperta, tra esternazioni e movimenti sotto traccia. L’unico a non partecipare per ora, almeno formalmente, alla disputa e’ il segretario dem, Enrico Letta. “Quando si ha troppo in mente per il Colle, si finisce poi per fare delle cose sbagliate. Del Quirinale se ne deve parlare a gennaio, non ora. Adesso si discuta di bilancio e ci si concentri sulla vita degli italiani”, le sue parole. Però la battaglia è iniziata eccome, tanto che tutta la politica appare concentrata su questo appuntamento. Letta vorrebbe arrivare alla scadenza abbassando i toni per potere cercare di piazzare uno od una dei suoi, come sempre avvenuto nel passato, al Colle. Per il Pd si tratta quasi di un riserva privata. Il fatto che ad oggi il centrosinistra non ha numeri per eleggere un presidente senza un accordo con il centrodestra. E vale anche il contrario. Ne e’ consapevole Giorgia Meloni consapevole che anche il suo schieramento non ha i numeri per eleggere il prossimo inquilino del Quirinale ma li ha per essere protagonista di questo passaggio. Se Giuseppe Conte non esclude che l’attuale premier possa passare da palazzo Chigi al Colle, il suo ministro degli Esteri Di Maio, al di là di malcelate reticenze ci crede ancora di più. Ed in questo fa asse con il leghista Giorgetti, che ha lanciato il sasso nello stagno, proponendo di fatto Draghi, che potrebbe anche essere un presidente un po’ diverso dagli altri, uno in grado di guidare comunque il convoglio con un sorta di semipresidenzialismo de facto. Attirandosi tante critiche da tutti, dem in testa, perché la Costituzione è quella e non si discute. Anche se è vero che le maglie sono abbastanza larghe tanto da avere spinto alcuni presidenti, Napolitano in testa, ad assumere un ruolo schiettamente politico e tutt’altro che notarile. Nel tutto i partiti devono ragionare pensando alla pancia profonda del Parlamento dove ci sono almeno la metà di senatori e deputati che ben sanno che non torneranno nella loro Camera di appartenenza. Difficile controllare, difficile che obbediscano alle direttive dei loro capi. Che possono anche fare a acccordi, che però poi possono poi essere smentiti nel segreto dell’urna. Ed è proprio in quella pancia tanto molle quanto fluida che Berlusconi vorrebbe pescare per essere lui il nuovo capo dello Stato. Quello che il Cav esclude, non avendo un’indole decoubertiana, e’ di correre tanto per correre. Lo fara’ solo se riterrà di avere la possibilità di vincere, perché afferma “non farò mai il candidato di bandiera”. Il Cav cercherà fino all’ultimo i consensi che gli servirebbero verificando le sue possibilità anche nei 290 grandi elettori usciti dai gruppi, che considera in tanti suoi amici. Ad oggi però l’unico che potrebbe almeno sulla carta godere di un ampio consenso è Mario Draghi, con l’unico sospetto che la sua elezione possa portare ad elezioni anticipate. E su questa paura fa leva Berlusconi per covare il suo sogno quasi impossibile. Ma e’ vero che a Berlusconi la parola impossibile non piace, soprattutto se lo riguarda…