“Parlare di Haiti oggi – scriveva qualche settimana fa la rivista dei gesuiti, La Civitltà cattolica – significa parlare di un Paese con problemi e con situazioni che lo trascinano in basso”. L’isola caraibica, dopo dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moise nel luglio 2021 per mano di mercenari colombiani, è nel caos. 400 Mawozo, Chen Mechan, Torcel, Baz Pilot, 5 Secondes, Grand Ravine e la famigerata G9 Family and Allies, capeggiata dall’ex poliziotto, Jimmy “Barbecue” Cherizier, sono le gang che terrorizzano e comandano, a partire dalla capitale Port-au-Prince.
“Papa Doc”
Haiti, oltre 11 milioni di abitanti, è situata nella parte occidentale dell’isola di Hispaniola, a oriente si trova un altro Stato sovrano, la Repubblica Dominicana. È il Paese meno sviluppato dell’emisfero settentrionale e uno dei più poveri al mondo, semi raso al suolo dal terremoto del 2010. Politicamente da sempre instabile, tra golpe e dittature, come quella nella seconda metà del Novecento di François “Papa Doc” Duvalier con i suoi sanguinari pretoriani, i Tonton Macoutes. Ora a guidare un governo fantasma è il premier Ariel Henry, indicato prima di morire dal presidente Moise. Dall’inizio dell’anno, l’ONU stima che almeno 2.439 persone siano state uccise e circa 200mila siano sfollate a causa della guerra tra le bande. Anche la storia degli interventi militari stranieri è costellata di insuccessi: dall’occupazione americana nella prima metà del secolo scorso alla missione dei caschi blu dell’ONU nel post terremoto, minata da accuse di abusi sessuali e dal collegamento con un’epidemia di colera.
Polizia
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha comunque lanciato un nuovo appello a non lasciare il Paese nella catastrofe. Gli Stati Uniti hanno dichiarato voler presentare una risoluzione in Consiglio di sicurezza, per autorizzare il Kenya a guidare una forza di polizia multinazionale. Bahamas e Giamaica si sono offerte di fornire personale di sicurezza. I dettagli della missione non sono ancora chiari, ma già montano le polemiche. Organizzazioni per i diritti umani paventano la tradizione di abusi della polizia del Kenya. Amnesty International denuncia come da marzo, nel corso di manifestazioni contro una legge fiscale, almeno 30 dimostranti siano rimasti uccisi, alcuni raggiunti da colpi di arma da fuoco mentre scappavano o si arrendevano. Il ministro degli Interni di Nairobi, Kithure Kindiki, ha respinto le accuse di “atrocità”, affermando che gli agenti sono “imparziali e professionali”.
Società civile
Pierre Esperance, direttore del National Human Rights Defence Network di Haiti, ha riportato all’emittente del Qatar, Al Jazeera, le preoccupazioni della società civile haitiana, “diffidente nei confronti di un nuovo intervento straniero”. Pessimista anche l’analista di questioni africane, Benedict Manzin dell’Istituto Sibylline, che al quotidiano britannico The Guardian ha ricordato: “In Somalia, dove le forze keniane hanno sostenuto le operazioni contro il terrorismo islamico, gli attacchi di al-Shabaab continuano nonostante i militari di Nairobi operino lì da oltre un decennio”.