
Dopo la Finlandia anche la Svezia, dopo due secoli di neutralità, ha annunciato per bocca della premier Magdalena Andersson che chiederà formalmente di aderire alla Nato, sempre a causa della guerra di aggressione di Putin all’Ucraina.
I due paesi scandinavi non si fidano più dello zar del Cremlino e marciano insieme e a tappe forzate verso l’Alleanza atlantica – ma sull’iter della loro adesione c’è l’ombra del deciso no del presidente turco Erdogan – scatenando l’ira di Mosca da dove Putin avverte: “Decisioni che non ci minacciano ma che non potranno rimanere senza risposta, reagiremo all’espansione Nato”.
Un Putin, secondo l’intelligence occidentale molto malato, che potrà comunque aggiungere questi due importanti ‘successi’ al già deludente andamento del conflitto – ma è un eufemismo – per la resistenza opposta all’armata russa dai soldati di Kiev. Voleva meno Nato ai suoi confini e ora si ritrova con Svezia e Finlandia che decretano la fine delle rispettive neutralità…
In più pure la Svizzera starebbe flirtando con la Nato. La Confederazione elvetica depositaria di un’altra storica e secolare neutralità per ora non pronuncia la parola ‘adesione’ ma sviluppa però i rapporti politici e di difesa con gli Stati Uniti, socio forte della Nato, una novità impensabile a Berna fino a due mesi fa. La ministra della Difesa elvetica Viola Amherd, in visita a Washington, ha chiarito: “La guerra in Ucraina dimostra che la Svizzera deve rafforzare la sua cooperazione internazionale, anche con gli Stati Uniti”.
Dicevamo di Erdogan: sull’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza atlantica – per arrivarci serve l’Ok di tuti e 30 i paesi Nato – in serata è piombato il doppio ‘no’, durissimo, del presidente turco. “Inutile che Helsinki e Stoccolma vengano ad Ankara a chiedermi di approvare la loro adesione. Dopo l’errore compiuto con l’aver detto sì l’ingresso della Grecia (storico nemico della Turchia, ndr) non ci casco più: un musulmano puoi fregarlo una volta, non una seconda” ha tuonato il leader turco smentendo un suo ammorbidimento sulla questione. E ha usato toni ancora più duri quando ha accusato Helsinki e soprattutto Stoccolma, definita “incubatrice” del terrorismo, di ospitare e favorire i curdi del PKK, spina nel fianco della Turchia.
Sul terreno della guerra in Ucraina, un’importante doppia novità arriva da Mariupol dove, insieme ad un cessate il fuoco concordato per consentire l’evacuazione di circa 600 soldati ucraini feriti dall’acciaieria Azovstal. si comincia a parlare anche di una possibile resa del reggimento Azov, asserragliato con circa duemila uomini da 82 giorni nell’impianto siderurgico della città portuale ridotto ormai ad un cumulo di macerie. Quelli che Putin ha definito nazisti e verso i quali Mosca – lo ha ribadito – non avrà nessuna pietà.
Uno scarno comunicato del ministero della difesa russo ha dato notizia di un accordo raggiunto con Kiev per una breve tregua necessaria per organizzare un corridoio umanitario per portar via i militari feriti. Subito dopo un video messaggio del comandante del reggimento Azov Denis Prokopenko diffuso dai sotterranei dell’acciaieria ha fatto pensare ad una resa ormai alle porte. Ecco il testo: “I difensori di Mariupol hanno eseguito l’ordine. Nonostante tutte le difficoltà, hanno respinto le forze schiaccianti del nemico per 82 giorni e hanno permesso all’esercito ucraino di riorganizzarsi, addestrare più personale e ricevere armi dai Paesi partner. Nessuna arma funzionerà senza militari professionisti, il che li rende l’elemento più prezioso dell’esercito. Per salvare vite umane, l’intera guarnigione di Mariupol sta attuando la decisione (di evacuazione) approvata dal Comando supremo e spera nel sostegno del popolo ucraino”.