‘La mafia uccide, il silenzio pure’, mostra a 30 anni dagli omicidi di Falcone e Borsellino

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Gli invisibili sono persone sull’orlo dell’oblio. Sono anche luoghi maledetti sui quali il tempo e l’indifferenza umana provocano una rimozione lenta del loro valore simbolico. È la memoria civile e collettiva l’unico antidoto al rischio concreto del silenzio mentre la documentazione, di ogni tipo, è da sempre lo strumento privilegiato per sensibilizzare l’opinione pubblica. Si muove da questa esigenza l’indagine di Lavinia Caminiti, fotografa, autrice e curatrice de La mafia uccide, il silenzio pure. GLI INVISIBILI ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza, la mostra visibile a tutti dal oggi al 30 novembre in piazza del Campidoglio, promossa da Roma Capitale in occasione del trentennale degli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

Noi tutti abbiamo l’obbligo e il dovere morale di ricordare e tramandare, soprattutto alle nuove generazioni, quanto accaduto. Perché è la memoria la condizione necessaria per continuare la nostra battaglia per la legalità e la giustizia, per onorare chi ha sacrificato la vita per questo” ha detto il sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

Dopo aver esordito nel 2014 a Palermo e aver toccato negli anni molti luoghi della Sicilia e dell’Italia intera, l’esposizione fotografica della Caminiti, realizzata con la collaborazione del Procuratore della Repubblica Fernando Asaro, giunge a Roma, in uno dei luoghi più significativi della città, per una tappa fondamentale del suo lungo viaggio. La mostra è una sorta di itinerario della memoria, racconta i delitti di mafia avvenuti nella sua Sicilia e nel resto d’Italia attraverso le immagini odierne dei luoghi in cui si sono consumate quelle tragedie. Gli scatti dimostrano, però, come la vita quotidiana abbia in parte occultato il valore di quei luoghi, con la gente che spesso percorre con indifferenza quegli angoli, quelle strade, quelle vie, senza accorgersi dei segni delle ferite ancora aperte. Un’indifferenza che diventa quasi cinismo davanti agli sfregi di luoghi privi di qualsiasi riferimento alla memoria: con targhe cancellate, lapidi divelte o, peggio ancora, nascoste da bancarelle, immondizia o decorazioni natalizie.

È per questo che Lavinia Caminiti tenta di risvegliare la coscienza del visitatore mettendo a confronto le immagini attuali di quei luoghi con le foto e gli articoli di stampa realizzati immediatamente dopo i tragici eventi. Le tracce del sangue lungo quelle strade diventano per la Caminiti i segni di una virtuale mappa del terrore in oltre un secolo di orribili delitti, di vittime sacrificali, a volte del tutto inconsapevoli, che hanno combattuto e sono morte per un’ideale di giustizia e libertà o più semplicemente per essersi trovate nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Ecco quindi, le storie tristemente conosciute di Peppino Impastato, ucciso nel 1978 nella sua Cinisi per aver combattuto la mafia e il suo rappresentante locale Gaetano Badalamenti; di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo “freddato” in un bar di via Francesco Paolo Di Blasi; o del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso in via Carini insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e al suo autista Domenico Russo. E si parla proprio di quest’ultimo atto efferato in un ulteriore prezioso documento presente nel percorso di visita. All’indomani dell’attentato al Generale Dalla Chiesa, la nipote del magistrato Cesare Terranova, Geraldina Piazza indirizzò uno sfogo all’allora giudice istruttore Giovanni Falcone che le rispose con una lettera oggi visibile a tutti, un documento emozionante pieno di gratitudine e coraggio, senso del dovere e speranza.

Nonostante ritraggano luoghi dalla normalità quasi sconvolgente, gli scatti di Lavinia Caminiti riescono ugualmente a farci tornare con la mente alle barbare esecuzioni del passato. Come quelle ai danni di Piersanti Mattarella, ucciso sotto gli occhi della sua famiglia in via Libertà il 6 gennaio 1980; di Pio La Torre, inseguito e ucciso insieme al suo autista per i vicoli stretti che conducono a piazza Generale Turba; o di Don Pino Puglisi, sacerdote della zona di Brancaccio la cui missione venne bruscamente interrotta il 15 settembre del 1993 mentre rincasava in piazza Anita Garibaldi.

E come non lasciarsi assalire dalla commozione davanti ai tanti luoghi in cui magistrati, poliziotti e servitori dello stato hanno perso la vita. Il riconoscimento di quei luoghi è un esercizio necessario sul quale la nostra società deve allenarsi, non solo per sottrarli alla quotidianità che li rende invisibili ma per tenere sempre vivo il ricordo di eroi come Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta Vito SchifaniAntonio Montinaro e Rocco Dicillo; come Paolo Borsellino ucciso in via D’Amelio insieme agli agenti Emanuela LoiAgostino CatalanoVincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina. O come i magistrati Rocco Chinnici e Pietro ScaglioneCesare Terranova, Gaetano Costa e Rosario Livatino. Come il Capitano dei Carabinieri di Monreale Emanuele Basile e il suo successore Mario D’Aleo, il poliziotto della Squadra Mobile di Palermo Calogero Zucchetto, l’agente Antonino Agostino.