Dal valico di Rafah con l’Egitto sono passati stamane appena una ventina di camion carichi di aiuti per la popolazione di Gaza, poi le sbarre sono state riabbassate. A nessun civile è stato consentito di passare il confine, nessun’altra liberazione di ostaggi dopo le due cittadine americane di ieri.
La tregua umanitaria è durata solo due ore. Venti Tir: “Una goccia nel mare”, ha detto l’Onu. Ne servirebbero un centinaio al giorno per sfamare i due milioni di abitanti della Striscia sotto assedio da parte dell’esercito israeliano dal 7 Ottobre, il giorno dell’attacco di Hamas che ha fatto 1.500 vittime israeliane e procurato al gruppo terrorista almeno 200 ostaggi civili. La tensione resta altissima e cresce pur nell’assoluta incertezza sui tempi, l’attesa per la risposta “di terra” dell’esercito dello stato ebraico. “Entreremo a Gaza per distruggere Hamas” hanno confermato oggi i vertici militari israeliani dando il senso dell’imminenza dell’azione ma senza specificare se si tratterà di una vera e propria invasione con i carri Merkava o invece singole incursioni dei reparti speciali per eliminare i terroristi uno ad uno. Ma hanno aggiunto: “Lo faremo avendo negli occhi e nella mente le atrocità compiute da Hamas il 7 Ottobre”.
Malgrado la doccia fredda registrata al valico di Rafah, proseguono gli sforzi diplomatici per evitare un allargamento del conflitto ma la strada è accidentata, molto accidentata, e una ulteriore prova se ne è avuta oggi con il fallimento del ‘vertice per la pace in Medio Oriente’ organizzato dal presidente egiziano Al Sisi che ha voluto riunire al Cairo paesi arabi e europei (Giorgia Meloni per l’Italia) per rilanciare la soluzione della crisi israelo-palestinese con la formula ‘due popoli, due stati’. La conferenza si è chiusa senza produrre un comunicato finale: i paesi arabi volevano la condanna di Israele per l’assedio a Gaza ma non di Hamas per l’attacco che ha scatenato questa nuova guerra; gli europei hanno insistito per la condanna di Hamas e per il diritto di Israele a esistere e all’autodifesa. Niente da fare. Tante parole ma nessuna intesa. In realtà era difficile immaginare che uscisse una soluzione al conflitto, o almeno una ‘road map’ come l’ha chiamata Al Sisi, da un vertice senza protagonisti assoluti sullo scenario mediorientale e mondiale come gli Usa, la Russia, la Cina o l’Iran. E soprattutto Israele.
Lasciato il Cairo, la premier italiana è volata a Tel Aviv per incontrare Benjamin Netanyahu. “Vinceremo la battaglia contro la barbarie” ha detto il premier israeliano riferendosi ad Hamas. Meloni gli ha rinnovato la solidarietà e l’impegno dell’Italia al fianco di Israele e la determinazione a “combattere l’antisemitismo”. “Noi difendiamo il diritto di Israele a esistere, a difendere la sicurezza dei propri cittadini. Comprendiamo assolutamente che quello di Hamas è un atto di terrorismo che deve essere combattuto. Pensiamo e crediamo – ha detto la premier italiana – che voi siate in grado di farlo nel migliore dei modi, perché noi siamo diversi da quei terroristi”.