Anno nuovo, problemi vecchi. Con resa dei conti vicina. Conte nella sua conferenza stampa di fine anno sfida apertamente Renzi dicendo, che se un partito molla lui andrà diritto in Parlamento. Il che tradotto vuole quasi dire od io od elezioni. Già perché nella prima Repubblica se un partito si sfilava interveniva in prima battuta il Capo dello. Stato che avviava le consultazioni aprendo di fatto la crisi e solo se lo riteneva opportuno rimandava il governo in Parlamento. Più che probabilmente Conte è d’accordo con Mattarella per scoraggiare chi vuole fare saltare il banco. Se infatti in Parlamento non ci dovesse essere la fiducia e l’attuale maggioranza non fosse sufficiente la strada per le urne sarebbe pressoché obbligata.
È un modo per stanare Renzi e convincerlo a rientrare nei ranghi dopo il suo Ciao, anche se frutto di un acronimo, che tanto fa il paio con l’ormai famoso “stai sereno” che precedette la cacciata di Letta. Renzi non molla e sostiene che il Conte due è al capolinea e che al Colle dirà che tocca a Draghi. La corda è tesa e rischia di spezzarsi, tanto che sia il premier che l’ex premier citano Aldo Moro, in una sorta di Moro contro Moro. Ha cominciato Renzi nel suo intervento al Senato sulla manovra economica ricordando lo statista che disse “la verità illumina e dà coraggio”. Nel pomeriggio la replica sempre citando Moro (chissà se su suggerimento del Colle dove se ne conosce meglio il pensiero) l’affondo di Conte che ricorda il suo ultimo discorso ai gruppi parlamentari della Dc nel ‘78, prima del rapimento e dell’uccisione da parte delle Br.
“Gli ultimatum non appartengono al mio bagaglio culturale e politico”. Il premier ricorda che lo statista sosteneva che gli ultimatum non sono ammissibili in politica perché “hanno il significato di una stretta che significherebbe fare precipitare le cose e impedire che si raggiunga una soluzione positiva. Io sono al di fuori degli ultimatum. Sono per il dialogo e per trovare una sintesi superiore nell’interesse del paese”. La citazione non appare del tutto felice perché il destino volle che nel giro di pochi giorni Moro fu proprio vittima di un ultimatum e della mancanza di dialogo. E certo non fu nell’interesse superiore del paese che fece quella brutta fine, che ancora molto pesa sulla politica italiana e non solo.