Doppia ovazione del Congresso americano al presidente ucraino Volodymyr Zelensky collegato con Washinton da Kiev.
Tutti in piedi, all’inizio e alla fine dell’intervento, per applaudire il leader ucraino che ha chiesto ancora aiuti militari e economici per opporsi all’invasione russa e, ben sapendo di toccare un tasto molto delicato per la sensibilità degli americani, ha fatto un parallelo tra la guerra in Ucraina e l’11 Settembre.
“Per noi è un 11 Settembre tutti i giorni” ha detto Zelensky che poi si è rivolto in inglese direttamente al presidente Joe Biden ringraziandolo per quanto stanno facendo gli Usa per il suo paese.: “Essere il leader del mondo vuol dire essere leader della pace” ha aggiunto mostrando un video dell’Ucraina sotto le bombe e infine rivolgendosi sempre in inglese agli americani: “Oggi non solo aiutate noi ma anche tutta l’Europa e tutto il mondo ad essere liberi”. Poco dopo ha parlato alla stampa lo stesso Biden sottolineando la resistenza degli ucraini e spiegando l’importanza degli aiuti americani all’Ucraina, un miliardo di dollari e armi sempre più sofisticate.
Questo nel ventunesimo giorno di guerra, un giorno in cui si sono registrati ancora furiosi scontri nel paese invaso con epicentro Mariupol, la città martoriata e assediata dove, secondo Kiev, i russi hanno bombardato un teatro che dava rifugio a più di mille civili. Ancora impossibile un bilancio delle vittime ma Mosca ha subito reagito respingendo le accuse degli ucraini e scaricando invece sul famigerato battaglione Azov, la milizia ultranazionalista ucraina, la responsabilità del tragico episodio.
Bombe senza pause ma sullo scenario è anche apparso uno spiraglio di pace, come quello rivelato dal Financial Times e costituito dalla bozza di un piano in 15 punti per porre fine alla guerra su cui avrebbero cominciato a confrontarsi russi e ucraini per raggiungere quel “compromesso possibile” di cui vanno parlando da alcuni giorni i negoziatori delle due parti e i diversi mediatori. Un piano con al centro la neutralità dell’Ucraina sul modello svedese o austriaco, la rinuncia di Kiev alla Nato e la promessa di non ospitare basi militari straniere. Ma il cammino è lungo: Kiev ha già bocciato il piano in questione sostenendo che rispecchia solo la posizione e le richieste di Mosca, come ha detto il consigliere del presidente Zelensky, Mykhailo Podoliak. “L’Ucraina ha le sue posizioni e le uniche cose che confermiamo in questa fase sono il cessate il fuoco, il ritiro delle truppe russe e garanzie di sicurezza da un certo numero di paesi” ha scritto su Twitter. Le garanzie Kiev le vuole, vincolanti, da Stati Uniti, Regno Unito e Turchia.
Distanze che sembrano dunque non colmabili. Eppure qualcosa si muove come testimoniano alcune parole del ministro degli Esteri russo. “Non ci sono ostacoli” a un incontro tra i presidenti russo e ucraino, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, ma questo dovrebbe servire a consolidare accordi tangibili tra le parti, ha affermato Serghei Lavrov, sottolineando che non potrà essere “un incontro per il gusto di farlo” ma “per consolidare i punti raggiunti, sui quali si sta attualmente lavorando tra le due delegazioni”. Intanto da New York la Corte internazionale di Giustizia dell’Onu, il massimo organo giuridico per le dispute tra Stati, ha detto di ritenere che la Russia debba “sospendere immediatamente l’operazione militare avviata il 24 febbraio 2022 sul territorio dell’Ucraina”. Questo mentre da Mosca Putin affermava che le forze armate russe “stanno sviluppando con successo e strettamente secondo i piani” l’operazione speciale in Ucraina. “La Russia – aveva aggiunto – non aveva altra scelta per garantire la propria sicurezza che quella di attuare quell’operazione”. E poi per condannare il comportamento degli ucraini nei confronti della minoranza russofona del Donbass (o dell’Occidente verso la Russia) ha parlato di “pogrom” come quelli contro gli ebrei alla fine dell’800.