Un vecchio slogan pubblicitario diceva: “una telefonata allunga la vita”. La realtà oggi è che spioni di ogni tipo attraverso i nostri ‘preziosi’ smartphone allungano le mani sulle nostre vite. Ultimo caso quello di Pegasus, un trojan che in molti paesi, anche ‘normali’, ha monitorato politici, giornalisti, avvocati e attivisti vari.
Da remoto
Ormai non serve più un agente segreto per installare la microspia. E neppure una e-mail o un sito Web infetti. L’attacco arriva e basta. Da remoto, da ripetitori manipolati senza che nessuno tocchi il nostro cellulare. Il programma spia si mette subito ad ascoltare le nostre chiamate, i nostri ambienti; a leggere messaggi, anche crittografati, e mail; a controllare il calendario come la fotocamera. Anche per l’utente più prudente la possibilità di difesa è praticamente ridotta a zero. Le tecnologie di spionaggio si sono diffuse e sono appannaggio non solo degli Stati, ma persino di gruppi e anche di individui.
Khashoggi
Pegasus è venuto fuori nelle inchieste sull’omicidio del giornalista saudita, Jamal Khashoggi, nell’autunno del 2018. Il produttore del software, il gruppo israeliano NSO, sostiene di averlo venduto soltanto ad agenzie governative verificate per combattere il terrorismo e la criminalità. Ma ormai sappiamo bene che il confine tra legale e illegale è molto labile e viene facilmente superato. La fame di dati dei servizi di intelligence è stata mostrata dalle rivelazioni di Edward Snowden. La super agenzia di intelligence USA, la NSA, ha spiato per anni il cellulare di uno dei principali alleati, la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Questo tipo di rivelazioni ha spinto sulla strada della cyber intelligence praticamente ogni nazione.
Giornalisti
È ormai chiaro che in molti casi, dalla Bielorussia all’Arabia Saudita, il cyber spionaggio ha conseguenze spaventose di violazioni dei diritti, intimidazione, repressione, prigionia, fino all’omicidio. Per i regimi autoritari giornalisti, dissidenti e attivisti per i diritti umani sono dei criminali, minacciano la sicurezza nazionale e questo li rende oggetto di sorveglianza intrusiva. Anche una ‘democratura’ come l’Ungheria di Orban c’è dentro fino al collo. I giornalisti a Budapest sono spiati e il governo di Orban si è limitato a una generica presa di posizione del ministro degli Esteri, Peter Szijjarto. Ha negato l’utilizzo di Pegasus da parte del servizio di intelligence da lui supervisionato. In realtà, si tratta soltanto di una delle cinque agenzie di informazioni ungheresi.
h24
La classica smentita che non smentisce. E Orban, in assenza di una forte persa di posizione di Bruxelles, continua a intascare i fondi europei e a calpestare i valori democratici, le libertà di espressione e di insegnamento (vedi caso Soros) e i diritti umani del mondo LGBT. In realtà, siamo tutti seguiti passo passo grazie al cellulare che teniamo religiosamente in tasca. Aziende e social media osservano h24 tutte le mostre mosse, quello che ci interessa o ci piace per per commercializzare al meglio i loro prodotti. È evidente che quello che possono fare le aziende, oppure noi stessi – magari con una app in libera vendita per controllare dove si trovino moglie e figli – lo possono fare tranquillamente e più o meno in grande stile gli hacker, che vogliono rubarci identità e denaro, e gli Stati, che siano più o meno orwelliani.