Secondo mandato per il premier dell’Etiopia, Abiy Ahmed, dopo la vittoria a valanga del suo Partito della prosperità nelle elezioni del giugno scorso. Il giuramento mentre prosegue da quasi un anno la guerra civile nella regione settentrionale del Tigray, che sembra allargarsi anche in altre parti del grande paese del Corno d’Africa. “Nuovi inizi” è lo slogan apparso un po’ ovunque nella capitale Addis Abeba. Per il principale consigliere di Abiy, Mamo Mihretu: “Oggi è una pietra miliare – ha scritto su Twitter -. L’inizio di una stagione di speranza. La strada da percorrere potrebbe essere ardua, ma non ci stancheremo”.
Oromo
Abiy era salito al potere nel 2018. Esponente dell’etnia Oromo, maggioritaria ma a lungo marginalizzata. Per anni dopo il rovesciamento del regime comunista del generale Menghistu nel 1991, l’Etiopia era stata guidata dai leader del Fronte di liberazione del Tigray (TPLF). Prima Meles Zenawi e poi Hailé Mariàm Desalegn, rovesciato dal moto popolare che aveva lanciato Abiy. Il premier ha avviato un programma di riforme e di democratizzazione, impegnandosi a risolvere il conflitto ultraventennale con la confinante Eritrea, che gli è valso il premio Nobel per la pace nel 2019.
Crisi umanitaria
Il conflitto in atto con gli autonomisti del Tigray sta indebolendo l’economia dell’Etiopia, finora considerata una di quelle in più rapida crescita dell’Africa. Grave anche la crisi umanitaria, con migliaia di morti e due milioni di sfollati. Il governo etiope è sottoposto a crescenti pressioni internazionali. Le Nazioni Unite hanno denunciato un “blocco umanitario de facto” del Tigray.