Gli infermieri hanno un ruolo chiave nel fornire assistenza negli ospedali, nelle strutture di assistenza e nella comunità. Ma gli infermieri mancano e l’Italia, in particolare, si ritrova in coda nella classifica dei Paesi OCSE per numero di organici, per retribuzioni e per formazione. Le carenze di infermieri sono state evidenti durante i picchi della pandemia da Covid-19, in particolare nelle unità di terapia intensiva, ma anche in altre unità ospedaliere e nelle RSA.
Media
Rispetto alla media OCSE, l’Italia ha 2 infermieri in meno ogni mille abitanti. La Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) stima una carenza di circa 65mila unità, tra territorio e ospedale, considerando un rapporto di almeno tre infermieri ogni medico. In Italia ci si ferma a circa la metà, con una valore di 1,6. Quando, in piena pandemia, il decreto-legge 34/2020 aveva previsto e finanziato l’assunzione di 9.600 infermieri, si è riusciti a immetterne negli organici del Servizio sanitario nazionale (Ssn) non più di 3.500.
Attrattività
Uno degli elementi da valutare è la scarsa attrattività della professione. Sia per l’impegno che comporta, sia per le scarse opportunità di carriera e le basse retribuzioni. A differenza della maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, in Italia gli infermieri guadagnano meno del salario medio di tutti i lavoratori. “In Italia – commenta la presidente FNOPI, Barbara Mangiacavalli – abbiamo una professione infermieristica che soffre di un appiattimento organizzativo, formativo e contrattuale. Una situazione che non ci possiamo più permettere”.
Risposta
Per questo, sostiene Mangiacavalli, “c’è bisogno di lavorare su un’evoluzione della professione. Di formare infermieri specialisti e di riconoscerne il ruolo giuridico ed economico. Senza tali presupposti – rimarca la presidente FNOPI – non può esserci una risposta appropriata ai bisogni di salute complessi e non ci può essere realmente un sistema salute degno di questo nome”.